Medico,
Cantautore, Cabarettista, Attore
Milano, 3
giugno 1935 – Milano, 29 marzo 2013
L'esistenza è uno
spazio che ci hanno regalato e che dobbiamo riempire di senso, sempre e
comunque.
La musica è un
continuo svolazzare do foulard, va avanti da sola e uno deve essere li pronto
ad ascoltare, perché poi lei va via.
La normalità come
la penso io è essere te stesso, sapendo che ci vuole una misura anche nella tua
cattiveria.
Se il Nazareno
tornasse ci prenderebbe a sberle tutti quanti. Ce lo meritiamo, eccome, però
avremmo così tanto bisogno di una sua carezza.
Sono sempre stato
un introverso, ma questo non vuol dire che non pensi costantemente alla gente,
ai suoi problemi, alla sua fame.
Non staccherei mai
una spina e mai sospenderei l'alimentazione a un paziente: interrompere una
vita è allucinante e bestiale.
Sono nato
estemporaneo, un po’ strano, curioso.
Io da medico
ragiono esattamente così: la vita è sempre importante, non soltanto quando è
attraente ed emozionante, ma anche se si presenta inerme e indifesa.
Quello che la
gente si ricorda di me sono le entrate a passettini, che non erano una trovata
artistica, ma venivano dal fatto che avevo paura di disturbare.
Stare dove la vita
è ridotta a un filo sottile è traumatico ma può insegnare parecchie cose a un
dottore.
Quelli che quando
perde l'Inter o il Milan dicono che in fondo è solo una partita di calcio e poi
tornano a casa e picchiano i figli.
La normalità è
poter dire di essere a casa.