Giornalista Italiano
(25 Giugno 1943)
Il laico ha sempre
ragione, tranne quando tenta di imporre agli "avversari" di esserlo.
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La felicità
è fatta di lampi che però illuminano tutta la vita. Non puoi godertela: solo
ricordartela. Già tanto. Bisogna sapere che il resto è una macinazione di
passi.
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Quando la politica si trasforma e si svilisce scadendo nel
gossip, quando gli addetti all'informazione si rassegnano a pescare sui fondali
del pettegolezzo spacciando per notizie le attività più intime degli uomini e
delle donne, fatalmente la vita pubblica peggiora e riserva cattive sorprese.
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Se il livello della polemica è basso, prima o poi anche chi
era abituato a volare alto, o almeno si sforzava di non perdere quota, è
destinato a planare per rispondere agli avversari.
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Bei tempi
quando le banche erano come le chiese, tutti zitti e al loro posto.
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Mai quanto nel presente periodo si sono visti in azione
tanti moralisti, molti dei quali, per non dire quasi tutti, sono sprovvisti di
titoli idonei. Ed è venuto il momento di smascherarli.
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Sono
convinto che lo Stato sia povero e gli italiani ricchi. Mangiano meglio, si
vestono meglio, vivono meglio di tutti gli altri europei. In Germania alla sera
cenano con pane e formaggio giallo. Per me di giallo c'è solo la polenta.
Invece da noi ristoranti, trattorie, pizzerie a ogni angolo, sempre pieni. Il
problema semmai è il Sud che non riesce a integrarsi.
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Strano che nessuno se ne sia accorto. Neanche i giornali
intelligenti e fini, tipo Repubblica e Corriere della Sera. Ma prima o poi i
poveri si accorgeranno: se i ricchi stanno con i comunisti o c'è qualcosa che non va
nei ricchi o c'è qualcosa che non va nei comunisti.
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Per quale motivo in Italia anche la stampa più autorevole e
i telegiornali più accreditati fanno l'occhiolino agli estremisti e deplorano i
tutori della legalità? Lo fanno per convenienza. Lo fecero nel Sessantotto e
anni successivi, non hanno mai smesso di farlo, continuano a farlo. Hanno
l'esigenza insopprimibile di essere apprezzati dalla sinistra.
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La redazione di un giornale è il terminale della
società.
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Non sono io
ad essere berlusconiano ma Berlusconi ad essere feltriano.
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In Italia le penne sono sempre state sporche. In alcuni casi
luride. Motivo? Semplice. Tanto per cominciare, la tradizione. La nostra stampa
non è nata per informare, bensì per polemizzare.
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Ammesso e non concesso che un magistrato abbia sbagliato,
ecceduto, ciò non deve autorizzare i ladri e i tifosi dei ladri.
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Riesco ad
annoiarmi benissimo qui senza andare in ferie.
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Scalfari, da
quando non dirige più, dà le pagelle a chiunque, anche al Papa a cui spesso
impartisce lezioni di teologia. È un filosofo della libertà di stampa. Lui è
libero.
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Io mi sono
limitato ad adottare la formula giornalistica di Indro Montanelli. Ma l'ho
realizzata meglio perché mi sono sempre esposto, ci ho messo la faccia. Lui
invece era come Veltroni: "Sì ma anche". Non si schierava
nettamente, il suo editoriale era così in chiaroscuro che alla fine non capivi
mai se fosse chiaro o scuro. Il che non significa che non resti il migliore di
tutti noi. Ho venduto più di lui solo perché a me la gente non fa schifo.
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La storia
della mia predilezione infantile per l'Urss è una leggenda metropolitana.
Semplicemente vivevo a Bergamo, dove tutti votavano per la Dc. A 13-14 anni
il concetto teorico dell'uguaglianza mi affascinava, così mi parve giusto
schierarmi con gli indiani, anziché con i cowboy, come facevano i bambini al
cinema parrocchiale. Poi cominciai a leggere che in Russia non c'erano i
partiti, imperava la dittatura del proletariato, vigeva la tetraggine. La
simpatia per gli indiani svanì.
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Professione Giornalista Sergio Lepri Compralo su il Giardino dei Libri |