Magistrato
(Palermo, 18
maggio 1939 – Palermo, 23 maggio 1992)
Gli uomini
passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a
camminare sulle gambe di altri uomini.
Chi tace e chi
piega la testa muore ogni volta che lo fa, chi parla e chi cammina a testa alta
muore una volta sola.
La mafia è un
fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua
evoluzione e avrà quindi anche una fine.
Avete chiuso
cinque bocche, ne avete aperte 50 milioni.
In Sicilia la
mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a
proteggere.
Il dialogo
Stato-Mafia, con gli alti e bassi tra i due ordinamenti, dimostra chiaramente
che Cosa Nostra non è un anti-Stato, ma piuttosto una organizzazione parallela.
Occorre compiere
fino in fondo il proprio dovere, qualunque sia il sacrificio da sopportare,
costi quel che costi, perché è in ciò che sta l'essenza della dignità umana.
L'importante non è
stabilire se uno ha paura o meno, è saper convivere con la propria paura e non
farsi condizionare dalla stessa. Ecco, il coraggio è questo, altrimenti non è
più coraggio ma incoscienza.
Il coraggioso
muore una volta, il codardo cento volte al giorno.
Se vogliamo
combattere efficacemente la mafia, non dobbiamo trasformarla in un mostro né
pensare che sia una piovra o un cancro. Dobbiamo riconoscere che ci
rassomiglia.
La mafia, lo
ripeto ancora una volta, non è un cancro proliferato per caso su un tessuto
sano. Vive in perfetta simbiosi con la miriade di protettori, complici,
informatori, debitori di ogni tipo, grandi e piccoli maestri cantori, gente
intimidita o ricattata che appartiene a tutti gli strati della società.
La mafia è l'organizzazione
più agile, duttile e pragmatica che si possa immaginare rispetto alle
istituzioni e alla società nel suo insieme.
Perché una società
vada bene, si muova nel progresso, nell'esaltazione dei valori della famiglia,
dello spirito, del bene, dell'amicizia, perché prosperi senza contrasti tra i
vari consociati, per avviarsi serena nel cammino verso un domani migliore,
basta che ognuno faccia il suo dovere.
Possiamo sempre
fare qualcosa: massima che andrebbe scolpita sullo scranno di ogni magistrato e
di ogni poliziotto.
Si muore
generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande.
Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è
privi di sostegno.
Il sospetto è
l'anticamera della calunnia.
La mafia non è una
società di servizi che opera a favore della collettività, bensì un'associazione
di mutuo soccorso che agisce a spese della società civile e a vantaggio solo
dei suoi membri.
Credo che ognuno
di noi debba essere giudicato per ciò che ha fatto. Contano le azioni non le
parole. Se dovessimo dar credito ai discorsi, saremmo tutti bravi e
irreprensibili.
Temo che la
magistratura torni alla vecchia routine: i mafiosi che fanno il loro mestiere
da un lato, i magistrati che fanno più o meno bene il loro dall'altro, e alla
resa dei conti, palpabile, l'inefficienza dello Stato.
Lo stesso
meccanismo di espulsione, praticamente, che si ritrova tra gli eschimesi e
presso altri popoli che abbandonano i vecchi, i malati gravi, i feriti perché
intralciano il loro cammino in una terra ostile, mettendo in pericolo la
sopravvivenza di tutti. In un gruppo come la mafia, che deve difendersi dai
nemici, chi è debole o malato deve essere eliminato.
Per lungo tempo si
sono confuse la mafia e la mentalità mafiosa, la mafia come organizzazione
illegale e la mafia come semplice modo di essere. Quale errore! Si può
benissimo avere una mentalità mafiosa senza essere un criminale.
Entrare a far
parte della mafia equivale a convertirsi a una religione. Non si cessa mai di
essere preti. Né mafiosi.
La mafia si
caratterizza per la sua rapidità nell'adeguare valori arcaici alle esigenze del
presente, per la sua abilità nel confondersi con la società civile, per l'uso
dell'intimidazione e della violenza, per il numero e la statura criminale dei
suoi adepti, per la sua capacità ad essere sempre diversa e sempre uguale a se
stessa.